15 maggio 2009 (c.c. 16 aprile 2009) - sentenza n. 20506 - Corte di Cassazione - sezione II penale* (motivazione in ordine alla sequestrabilità e confiscabilità per equivalente del profitto del reato - vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato concretamente determinato al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell'ambito del rapporto sinallagmatico con l'ente - reato in contratto - differenziazione delle prestazioni lecite da quelle illecite sulla base di accertamenti specifici e puntuali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE II PENALE
composta dagli Ill.mi Signori:
dott. Antonio Esposito Presidente
dott. Franco Fiandanese Consigliere
dott. Margherita Bianca Taddei Consigliere
dott. Michele Renzo Consigliere
dott. Domenico Chindemi Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Napoli avverso l'ordinanza del Tribunale di Napoli, in funzione di Tribunale del riesame, in data 24.7.2008;
udita la relazione svolta dal Consigliere Margherita Bianca Taddei;
udito il P. G. in persona del dott. Giuseppe Febbraro, che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso;
uditi i difensori delle società: (A) SpA: Avv. …; (B) SpA: Avv. …; (C) SpA e (D) SpA: Avv. … che hanno concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Letti i motivi aggiunti del P.M..
Lette le memorie dei difensori delle società.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Il Gip del Tribunale di Napoli, con provvedimento 26/6/2007, applicava alle società (A) s.p.a., (C) s.p.a, (D) s.p.a., (B) s.p.a., componenti dell'Associazione Temporanea di Imprese (ATI) - che si era aggiudicata l'appalto del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani della Campania, indagate in ordine all'illecito amministrativo di cui al D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, art. 24, collegato al delitto di cui agli arti. 81 cpv. e 110 c.p. e art. 640 c.p., comma 1 e comma 2, n. 1 ascritto, tra gli altri, a soggetti apicali delle medesime società e a persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di tali soggetti - la misura interdittiva del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, limitatamente alle attività relative allo smaltimento, trattamento e recupero energetico dei rifiuti, per il periodo di un anno (D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 45) e disponeva, in via cautelare, ai sensi del richiamato D.Lgs. n. 231, artt. 19 e 53, il sequestro preventivo, al fine di garantire la futura confisca per equivalente, della somma complessiva di circa 750.000.000,00 di Euro, corrispondente al valore dei profitto tratto dall'illecito penale consumato nell'interesse o a vantaggio degli enti collettivi.
In particolare, la cautela reale andava ad incidere sulle seguenti somme:
- Euro 53.000.000,00 pari a quanto anticipato dal Commissariato per la costruzione degli impianti delle province campane diverse da quella di Napoli;
- Euro 301.641.238,98 relativi alla tariffa di smaltimento regolarmente incassata;
- Euro 141.701.456,56 di cui ai documenti rappresentativi di crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti dei Comuni e non ancora incassati;
- Euro 99.092.457,23 relativi a spese sostenute dal Commissariato per lo smaltimento dei rifiuti e delle frazioni a valle della lavorazione degli impianti di CDR, spese che invece, per previsione contrattuale, dovevano essere a carico delle società affidatarie;
- Euro 51.645.689,90 corrispondenti al mancato deposito cauzionale;
- importo percepito a titolo di aggio per l'attività di riscossione espletata per conto dei Commissariato e dei Comuni;
- Euro 103.404.000,00 pari al valore delle opere realizzate nella costruzione dei termovalorizzatore di Acerra sino al 31/12/2005.
Chiariva il Gip che gli impegni contrattuali assunti dall'ATI, in relazione all'appalto di cui si era resa aggiudicataria, riguardavano: 1) l'edificazione di sette impianti di produzione di combustibile derivato da rifiuti (CDR) e di due termovalorizzatori per il recupero energetico dello stesso; 2) la gestione per dieci anni del servizio appaltato, consistente nella ricezione dei rifiuti solidi urbani (RSU) e nella lavorazione degli stessi presso gli impianti di CDR, onde ricavarne tre distinte frazioni, caratterizzate da un preciso standard qualitativo: a) il combustibile derivato da rifiuti, cioè la frazione secca dei rifiuti da avviare al recupero energetico attraverso la combustione nei termovalorizzatore; b) la frazione organica stabilizzata (FOS o compost) da utilizzare in operazioni di bonifica e recupero ambientale; c) lo scarto (sovvallo) da smaltire in discarica; 3) la garanzia, nelle more della costruzione degli impianti citati, del recupero energetico dei RSU mediante conferimento dei CDR in termovalorizzatore già esistenti.
Secondo la prospettazione accusatoria, la condotta posta in essere dalle persone coinvolte nella vicenda era stata caratterizzata da evidenti profili di fraudolenza sia nella fase dell'aggiudicazione dell'appalto, nella quale si era fatto ricorso ad una serie di artifici documentali per accreditare il possesso dei requisiti necessari - in realtà inesistenti - ad aggiudicarsi l'appalto, sia nella fase esecutiva dei contratti, nel corso della quale erano state rappresentate "situazioni non corrispondenti alla realtà", finalizzate ad occultare il sistematico inadempimento degli obblighi contrattuali assunti e a garantirsi, quindi, il mantenimento in vita del rapporto di appalto.
Gli inadempimenti si erano sostanziati:
a) nella mancata produzione di compost e di CDR, conformi ai convenuti indici qualitativi;
b) nel mancato recupero energetico dei RSU;
c) nel subappalto - espressamente vietato - delle attività di conferimento dei materiali prodotti a valle della lavorazione presso gli impianti di CDR e di gestione delle discariche;
d) nella mancata costruzione di alcuni degli impianti previsti nella realizzazione di quelli edificati, in maniera difforme dalle previsioni progettuali.
La fraudolenta violazione di tali obblighi contrattuali aveva determinato l'illecito conseguimento da parte del gruppo d'imprese delle utilità previste dall'accordo e, quindi, di un "profitto" sostanzialmente coincidente, sotto il profilo quantitativo, con le somme oggetto del sequestro preventivo.
2. Avverso il provvedimento di sequestro (C) S.p.A., (D) S.p.A., (B) S.p.A. e (A) S.p.A., proposero istanze di riesame, ma il Tribunale di Napoli, Sezione 8^ penale, con ordinanza del 24.7.2007, le respinse.
3. Avverso tale provvedimento tutte le società proposero ricorso per cassazione e, fra i motivi, rappresentarono che il Tribunale del riesame non aveva dato risposta alcuna alle argomentazioni concernenti il concetto di profitto delineato dal D.Lgs. 8 giugno 2001 n. 231, art. 19: secondo i difensori quest'ultimo doveva identificarsi nell'utile netto che l'ente ricava dalla commissione del reato. In particolare , nei motivi di impugnazione tutti i ricorrenti richiamarono la sentenza della Cassazione, sez. 6° penale n. 32627 del 23 giugno 2006; altro motivo di impugnazione fu che le contestazioni riguardavano le modalità di esecuzione del contratto e non l'aggiudicazione della gara, sicché non era possibile qualificare l'attività delle società come illecita; ed ancora che la confisca cui si riferisce il D.Lgs. 23/11/2001, come aveva precisato la 2^ sezione penale della Cassazione, aveva natura sanzionatoria, essendo compresa fra le "sanzioni amministrative" (Cass. Sez. 2 sent. n. 9829 del 16.2.2006) e trattandosi di sanzione sarebbe necessario dare della stessa una connotazione costituzionalmente orientata nel rispetto del principio di legalità con i corollari di determinatezza, tassatività e precisione, oltre che di proporzionalità così da evitare eccessi sanzionatori; inoltre l'ablazione del profitto, prevista anche per l'ipotesi di assenza di colpevolezza dell'ente (nella quale la confisca manterrebbe la natura di misura di sicurezza), imporrebbe un'interpretazione restrittiva del termine profitto, così come la previsione di confisca nell'ipotesi di "patteggiamento"; nel caso di specie, pertanto, le somme sottoposte a sequestro avrebbero dovuto essere decurtate del controvalore dei lavori e delle prestazioni eseguite; avrebbe dovuto essere limitata alla parte in cui la tariffa eccede le spese di smaltimento ed in ogni caso non avrebbe dovuto riguardare l'IVA già versata all'erario; l'importo dei crediti certi, liquidi ed esigibili vantati nei confronti dei Comuni, (ovvero la diversa somma da determinarsi in sede di esecuzione dei provvedimento) avrebbe dovuto essere decurtato dei costi sostenuti e dell'I.V.A., escluso, comunque, quanto incassato e trattenuto dal Commissariato e, comunque, decurtato delle somme relative alle spese sostenute, per lo smaltimento di R.S.U. e delle frazioni a valle della lavorazione negli impianti di CDR, dal Commissariato, ma contrattualmente a carico delle società affidatarie. Inoltre, il sequestro non avrebbe dovuto riguardare le somme che identificavano i danni subiti dalla P.A. né quelle relative al mancato deposito cauzionale, che nulla avrebbe a che fare con la nozione di profitto; avrebbe dovuto essere individuata la somma percepita a titolo di aggio per l'attività di riscossione svolta per conto del Commissariato e la somma relativa alle opere realizzate nella costruzione del termovalorizzatore di Acerra sino al 31.12.2005 perché attinente a costi sostenuti dagli enti per attività lecita. Il sequestro inoltre doveva colpire le singole società in misura corrispondente ai benefici da ciascuna di esse realizzati.
4. I ricorsi, assegnati alla II sezione penale di questa Corte, vennero rimessi, con ordinanza del 23/1/2008, alle S.U. ex art. 618 c.p.p., sul rilievo, in relazione alla doglianza principale formulata, di un potenziale contrasto interpretativo in ordine alla identificazione della nozione di profitto confiscabile, ai sensi dell' art. 19 D. Lgs. n. 231/01, avuto riguardo all'affermazione incidentale fatta sul punto dalla sentenza 23 giugno 2006 n. 32627 .....
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