Rivista 231 Rivista 231
     HOME     CHI SIAMO     COLLABORATORI     AVVISI/BANDI 231    TAVOLI 231      COME ABBONARSI
Email: Password:
Sab, 5 Lug 2025
LE RUBRICHE


GLI INTERVENTI
ANNO 2025
ANNO 2024
ANNO 2023
ANNO 2022
ANNO 2021
ANNO 2020
ANNO 2019
ANNO 2018
ANNO 2017
ANNO 2016
ANNO 2015
ANNO 2014
ANNO 2013
ANNO 2012
ANNO 2011
ANNO 2010
ANNO 2009
ANNO 2008
ANNO 2007
ANNO 2006
ANNO 2005


LE NOTIZIE


5 marzo 2014 (ud. 30 gennaio 2014) n. 10561 - sentenza - Corte di Cassazione - sezioni unite penali* (sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta o per equivalente nei confronti di beni di una persona giuridica per violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante o da altro organo della stessa - è consentito nei confronti di una persona giuridica il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di denaro o di altri beni fungibili o di beni direttamente riconducibili al profitto di reato tributario commesso dagli organi della persona giuridica stessa, quando tale profitto (o beni direttamente riconducibili al profitto) sia nella disponibilità di tale persona giuridica - non è consentito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti di una persona giuridica qualora non sia stato reperito il profitto di reato tributario compiuto dagli organi della persona giuridica stessa, salvo che la persona giuridica sia uno schermo fittizio



(omissis)

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento, in data 18 gennaio 2013, richiese il sequestro preventivo di un immobile abitativo avente un valore di euro 486.000 di proprietà di (A), persona sottoposta ad indagini per il reato previsto dall'art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in quanto, nella qualità di legale rappresentante della (X) s.r.l., aveva omesso di versare per i periodi di imposta 2009 e 2010 l'imposta sul valore aggiunto per complessivi euro 455.827,27. Il debito di imposta, al netto delle rate versate, in conseguenza di un accordo con l'Agenzia delle entrate per il rientro dei debiti tributari, ammontava ad euro 332.228,52.
2. Con ordinanza del 22 gennaio 2013 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trento rigettò la richiesta del P.M. assumendo che non era stata evidenziata alcuna ragione di periculum.
3. Avverso tale provvedimento il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trento interpose appello deducendo la sussistenza del fumus commissi delicti (in ragione degli omessi versamenti di imposta nei termini) e del periculum (implicito nella confiscabilità di beni per equivalente, posto che nei casi di cui all'art. 10-ter d.lgs. 10 mano 2000, n. 74, si applica l'art. 322-ter cod. pen. in forza del rinvio operato dall'art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244).
4. Nel corso del procedimento cautelare d'appello l'indagato (il quale, sentito dalla polizia giudiziaria, aveva ammesso il fatto contestato sostenendo che: la società si era trovata in gravi difficoltà economiche dal luglio del 2008 a causa della perdita di un cliente importante; ciò aveva prodotto una mancanza di liquidità; aveva usato le risorse per pagare i fornitori e i dipendenti, piuttosto che adempiere le obbligazioni verso l'erario), assumeva: a) di non aver personalmente conseguito alcun profitto del reato, confluito alla società; b) che, perciò, nessuna confisca avrebbe potuto essere disposta nei suoi confronti; c) che il pagamento rateale concordato tra la società e l'Agenzia delle Entrate aveva fatto venir meno le ragioni del sequestro; d) che il patrimonio della società, soggetto beneficiario del profitto del reato, poteva, per la sua consistenza, essere sottoposto a sequestro; e) che mancava l'elemento soggettivo del reato in considerazione delle cause che avevano portato al mancato versamento della imposta e all'accordo successivo con l'erario.
5. Il Tribunale di Trento, con ordinanza del 12 febbraio 2013, accoglieva l'appello proposto dal Pubblico Ministero e disponeva il sequestro preventivo per equivalente dell'immobile di proprietà di (A) fino a concorrenza della somma di euro 332.228,52.
Il Tribunale riteneva che:
a) il piano di rientro del debito concordato dalla società con l'Agenzia delle Entrate non comportava né l'estinzione del reato, né l'impossibilità del sequestro, atteso che fino a quando il versamento non fosse stato completo il destinatario del provvedimento di sequestro avrebbe continuato ad avere la disponibilità ancorché parziale del profitto del reato, potendosi al più procedere ad una riduzione dell'oggetto del sequestro in conseguenza dei versamenti effettuati;
b) quanto alle questioni relative alla «co-obbligata società, sotto il profilo della dedotta capienza del patrimonio sociale, degli utili dell'ultimo esercizio, della eventuale scelta di non sottoporre a pignoramento i beni sociali», «il sequestro per equivalente funzionale alla confisca, avendo natura provvisoria, può interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, anche se poi il provvedimento definitivo di confisca, rivestendo invece natura sanzionatoria, non può essere duplicato o comunque eccedere nel quantum l'ammontare complessivo dello stesso profitto»;
c) nessun rilievo aveva il fatto che l'immobile sequestrato fosse stato acquistato da (A) nel 1987, cioè prima della commissione dei reati contestati, poiché il sequestro era finalizzato alla confisca per equivalente;
d) il profitto derivante dai reati contestati doveva essere identificato «con l'importo dell'iva evasa» e che, non risultando «agli atti beni confiscabili in capo al prevenuto che costituiscano il profitto della condotta», si poteva procedere al sequestro per equivalente degli altri beni nella disponibilità dell'indagato;
e) infondato doveva considerarsi l'assunto difensivo basato sulla prospettata assenza di dolo, atteso che questo non poteva «dirsi escluso in presenza di ulteriori finalità dell'azione o di ulteriori profitti», costituiti dalla prospettata esigenza di far fronte alle necessità della impresa;
f) il periculum coincideva con la confiscabilità del bene per equivalente.
6. Ha presentato ricorso per cassazione la persona sottoposta ad indagini personalmente deducendo quattro motivi.
6.1. Con il primo motivo l'indagato sostiene che il Pubblico Ministero, nella sua originaria domanda indirizzata al Giudice per le indagini preliminari, si era limitato a chiedere il sequestro preventivo e che, invece, solo con l'atto di appello aveva fatto riferimento al sequestro per equivalente «con ciò modificando di fatto l'originaria domanda in corso di procedura e privando così la difesa di un grado di giudizio».
Si osserva che il mutamento della domanda non poteva considerarsi irrilevante nella specie, atteso che, ove si fosse proceduto in appello facendo riferimento al sequestro preventivo funzionale alla confisca diretta del profitto del reato, come il Pubblico Ministero aveva inteso fare nella domanda originaria, il Tribunale non avrebbe potuto poi sequestrare l'abitazione da lui acquistata nel 1987, cioè un bene del tutto privo di pertinenzialità con il reato.
Secondo il ricorrente, il Pubblico Ministero non avrebbe potuto mutare la originaria richiesta di sequestro preventivo, a rigetto ottenuto, veicolando altra e diversa richiesta di sequestro per equivalente a mezzo di appello contro l'ordinanza di rigetto. Sulla base di tali presupposti ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza impugnata per l'inammissibilità (o l'invalidità) della richiesta formulata con l'appello, non formulata in precedenza.
6.2. Il secondo motivo di ricorso è proposto ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen.
Sotto un primo profilo, il ricorrente deduce che non si sarebbe potuto procedere al sequestro per equivalente nei suoi confronti, in quanto il Pubblico Ministero e, successivamente, il Tribunale avrebbe dovuto prima verificare la possibilità di procedere al sequestro diretto del profitto del reato nei confronti della società.
Il Tribunale, avendo omesso tale verifica, aveva violato l'art. 322-ter cod. pen. nella parte in cui tale norma richiede, per procedere al sequestro per equivalente, che sia accertata la impossibilità di procedere in via diretta sui cespiti della società; e in caso di impossibilità di confisca diretta si sarebbe dovuto procedere al sequestro per equivalente nei confronti della società.
In ogni caso il Tribunale avrebbe dovuto spiegare perché doveva ritenersi impossibile la confisca diretta presso la società della somma corrispondente all'imposta evasa, non potendo detta impossibilità essere costituita dal fatto che il Pubblico Ministero non avesse chiesto alcunché.
Viene precisato che: a) il ricorrente non aveva conseguito materialmente alcun profitto dal reato contestatogli; b) la somma non corrisposta all'erario era stata utilizzata dalla società per pagare i dipendenti; c) nel caso di reato tributario commesso dall'amministratore di una società, questa non può essere considerata terza estranea, quando, come nel caso di specie, il profitto rimane nelle casse sociali, e ciò pur se non è prevista una sua responsabilità amministrativa.
Il ricorrente sostiene di essere stato attinto da una misura cautelare, in forza di un profitto ictu oculi percepito esclusivamente da un terzo, nei cui confronti avrebbe potuto essere disposta la confisca diretta del profitto del reato che, a suo dire, si troverebbe ancora interamente nel patrimonio della società.
6.3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell'art. 322-ter cod. pen. per essere l'ordinanza impugnata fondata su motivazione meramente apparente; si deduce, in particolare, il vizio del provvedimento impugnato nella parte relativa al periculum che, secondo il ricorrente, non poteva essere considerato coincidente con la mera confiscabilità del bene.
Il Tribunale non aveva considerato in motivazione, al fine di escludere la sussistenza del requisito del periculum, una serie di elementi concreti, e cioè: a) la società aveva concordato un piano di rientro volto a garantire il pagamento delle imposte evase; b) la società aveva in corso pagamenti rateali per il rientro del debito; c) l'intervenuta ammissione dell'addebito da parte dell'indagato; d) i motivi che avevano indotto la società a non corrispondere l'imposta, cioè la situazione di crisi economica e il mancato conseguimento personale di alcun profitto da parte del ricorrente.
6.4. Con il quarto motivo viene dedotto il vizio di motivazione del provvedimento impugnato in relazione al fumus commissi delicti, nella parte relativa al dolo del reato contestato, con particolare riguardo alla volontarietà d.....

 

Il seguito è riservato agli Abbonati

Scelga l'abbonamento più adatto alle Sue esigenze

 





Questo sito NON utilizza cookie di profilazione ma solo cookie per il suo corretto funzionamento e l'analisi aggregata del traffico.